LA CORTE D'APPELLO DI NAPOLI 
                        Quinta sezione civile 
                   (gia' Prima sezione civile bis) 
 
    Riunita in camera di consiglio in persona dei magistrati: 
        dott. Fulvio Dacomo - Presidente; 
        dott. Michelangelo Maria Petruzziello - consigliere; 
        dott. Ugo Candia - consigliere - relatore; 
    Ha emesso il seguente decreto nel procedimento camerale  iscritto
al  n.  885/2019  del  ruolo  generale  degli  affari  di  volontaria
giurisdizione, avente ad oggetto: opposizione ex art. 5-ter, legge n.
89/2001  avverso  il  decreto  reso  dal  Consigliere  designato  dal
Presidente della Corte d'appello  di  Napoli  il  27  febbraio  2019,
depositato il 5 marzo 2019, contraddistinto con il n. cron. 490/2018. 
    Promosso da Andrea Giugliano (nato a Napoli, il 26 maggio 1965  e
residente in Cardito (NA), al corso C. Battisti n. 94, codice fiscale
GGLNDR65E26F839A), difensore di se' medesimo, con studio  in  Cardito
(NA), al corso Battisti n. 94; Ricorrente; 
    Contro il Ministero della giustizia, in persona del Ministro  pro
tempore; Non costituito. 
    La  Corte  disposta  la  comparizione  delle  parti  con  decreto
presidenziale del 12/15 aprile 2019, notificato  al  Ministero  della
giustizia il 29 aprile 2019 in uno al ricorso depositato  in  data  4
aprile 2019, sentito il Consigliere relatore, sciogliendo la  riserva
formulata all'udienza del 4 giugno 2019. 
 
                               Osserva 
 
    1. Con  il  suindicato  decreto,  il  Consigliere  designato  dal
Presidente della Corte d'appello ha  rigettato  il  ricorso  proposto
dall'opponente  per  conseguire  l'indennizzo  a   titolo   di   equa
riparazione del danno derivante dall'eccessiva durata  del  processo,
svoltosi innanzi al Tribunale di Napoli -  Quinta  sezione  civile  -
contraddistinto col n. 2062/2014  del  ruolo  generale  degli  affari
contenziosi, instaurato il 21 gennaio 2014 e concluso il  31  gennaio
2019 con sentenza n. 1169/2019 pubblicata il 31 gennaio 2019. 
    Il giudice ha rigettato la domanda in quanto «il  ricorrente  non
ha esperito alcuno dei rimedi volti ad evitare che la durata di  tale
processo superasse  quella  massima  ragionevole  prevista  dall'art.
1-ter, comma 1 della legge n. 89/2001», ritenendo, altresi', che  «la
domanda in esame debba essere senz'altro dichiarata inammissibile  ai
sensi dell'art. 2, comma 1, della  legge  n.  89/2001,  da  ritenersi
applicabile al caso di specie ai  sensi  dell'art.  6,  comma  2-bis,
della stessa legge, posto che, alla data  del  31  ottobre  2016,  la
durata del processo in questione non  aveva  ancora  superato  quella
ragionevole di cui all'art. 2-bis, comma 2, della  legge  n.  89/2001
ne' lo stesso processo era stato assunto in decisione»,  condannando,
infine, il ricorrente «a pagare in favore della Cassa  delle  ammende
una   somma   che   tuttavia,   stante   la   modestia   dell'importo
dell'indennizzo pecuniario da lui richiesto,  appare  equo  contenere
nel minimo previsto dall'art. 5-quater della legge n. 89/2001»,  pari
a 1.000,00 euro. 
    2.  Con  il  menzionato  ricorsa  in  opposizione,  l'istante  ha
censurato la decisione del primo giudice, evidenziando: 
        a. l'impossibilita' di esperire i rimedi  c.d.  preventivi  a
causa dell'istanza cautelare di sospensione  proposta  dall'opponente
Istituto vendite giudiziarie di Napoli e sulla quale il Tribunale non
poteva  provvedere  fin  quando  non  fosse  stato  acquisito   dalla
Cancelleria il fascicolo della procedura esecutiva RGE n. 369/2014; 
        b. l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1-ter,  comma  1
della legge n. 89/2001, dell'art. 6, comma 2-bis della citata  legge,
per contrasto con l'art. 24, 111 e 117 comma primo della Costituzione
e con i parametri interposti degli artt. 6, par. 13, e  46,  par.  1,
della Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell'uomo e
delle liberta' fondamentali firmata a  Roma  il  4  novembre  1950  e
ratificata e resa esecutiva con legge del 4 agosto 1955, n. 848, come
interpretate dalla giurisprudenza della  Corte  EDU  (in  particolare
sentenze del 2 giugno 2009, Daddi c/ Italia e del  22  febbraio  2016
Olivieri c/ Italia), richiamando sul punto la  sentenza  della  Corte
costituzionale  n.  34/2019,  che  ha   dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 54, comma 2, decreto-legge 25  giugno  2008,
n. 112, conv. nella  legge  6  agosto  2008,  n.  133,  e  successive
modificazioni, nel testo in vigore dal 16 settembre 2010, secondo cui
«la domanda di equa riparazione non e' proponibile  se  nel  giudizio
dinanzi al giudice amministrativo in cui si assume essersi verificata
la violazione di cui all' art. 2, comma 1, legge 24  marzo  2001,  n.
89, non e' stata presentata l'istanza di prelievo di cui all'art. 71,
comma 2, del codice del processo amministrativo»; 
        c. la consequenziale omessa considerazione da parte del primo
Giudice dell'irragionevole durata del processo  presupposto,  siccome
procrastinatosi per cinque anni ed 11 giorni. 
    Il   ricorrente   ha,   quindi,   concluso   per   l'accoglimento
dell'opposizione, chiedendo che venisse ingiunto al  Ministero  della
giustizia il pagamento della somma di 1.600,00 euro,  sollevando  nel
contempo la predetta questione di legittimita' costituzionale. 
    3. Tanto  ricapitolato,  giova  subito  evidenziare  che  con  la
suindicata  sentenza  n.  1169/2016,  che  ha  deciso   il   giudizio
presupposto, il  Tribunale  di  Napoli,  decidendo  sull'impugnazione
proposta  dall'Istituto  vendite  giudiziarie   di   Napoli   avverso
l'ordinanza di assegnazione emessa del  Giudice  dell'esecuzione  del
Tribunale di Napoli - Sezione  distaccata  di  Marano  -  in  data  3
dicembre 2013,  l'ha  rigettata  nella  parte  (ritenuta)  integrante
un'opposizione all'esecuzione e l'ha dichiarata  inammissibile  nella
parte  (considerata)  riconducibile  ad  un'opposizione   agli   atti
esecutivi, dichiarando improponibile la relativa domanda. 
    Tutto cio', ritenendo, in  relazione  all'interposta  opposizione
agli  atti  esecutivi,  l'irrimediabile  irritualita'  del   relativo
procedimento, siccome introdotto dall'Istituto vendite giudiziarie di
Napoli mediante atto di citazione (e non con  ricorso),  con  domanda
non rivolta al giudice dell'esecuzione, ma genericamente  all'ufficio
giudiziario ed iscritta nel ruolo del  contenzioso  ordinario  e  non
depositata agli atti del fascicolo di esecuzione pendente. 
    4.  Il  rilievo  che  precede  vale  'a  rendere  destituita   di
fondamento la prima censura avanzata dal ricorrente,  basata  -  come
sopra esposto - sul rilievo secondo cui la proposizione  dell'istanza
cautelare di sospensione dell'efficacia esecutiva  dell'ordinanza  di
assegnazione  nell'ambito  del  giudizio  di  opposizione  agli  atti
esecutivi avrebbe impedito il ricorso ai rimedi  preventivi  previsto
dall'art. 1-ter della legge n. 89/2001, essendo agevole osservare che
il giudizio era stato incardinato nelle forme del rito  ordinario  di
cognizione, come tale deciso, e che in tale contesto nessuna  ragione
avrebbe  precluso  all'istante  di  attivare,  comunque,   nonostante
l'inevasa istanza di  sospensione,  i  predetti  rimedi  nei  termini
previsti dall'art. 1-ter della legge n. 89/2001, tenuto conto che  la
pendenza di tale domanda  cautelare  non  ha  reso  impraticabile  la
decisione della causa nelle forme ordinarie. 
    Tuttavia, la questione di legittimita' costituzionale degli artt.
1-ter e 2 della legge n. 89/2001 posta dal ricorrente resta rilevante
nel caso di specie e non appare manifestamente infondata. 
    5. Il quadro normativo di riferimento della questione in rassegna
e' il seguente: 
      art. 1-bis della legge  n.  89/2001  [introdotto  dall'art.  1,
comma 777, lettera a), della legge 28  dicembre  2015,  n.  208],  il
quale stabilisce che: 
        «1. La parte di un processo  ha  diritto  a  esperire  rimedi
preventivi alla violazione della Convenzione per la salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, ratificata ai  sensi
della legge 4 agosto 1955, n.  848,  sotto  il  profilo  del  mancato
rispetto del termine ragionevole di  cui  all'art.  6,  paragrafo  1,
della Convenzione stessa. 
        2. Chi, pur  avendo  esperito  i  rimedi  preventivi  di  cui
all'art. 1-ter, ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale  a
causa dell'irragionevole durata del processo ha diritto ad  una  equa
riparazione»; 
      art. 1-ter della legge n. 89/2001 [sempre introdotto  dall'art.
1, comma 777, lettera a), della legge 28 dicembre 2015, n.  208],  il
quale prevede - per quanto ora rileva - che: 
        «1.  Ai  fini  della  presente  legge,  nei  processi  civili
costituisce rimedio preventivo a  norma  dell'art.  1-bis,  comma  1,
l'introduzione del giudizio nelle forme del procedimento sommario  di
cognizione di cui agli articoli 702-bis  e  seguenti  del  codice  di
procedura civile. Costituisce altresi' rimedio  preventivo  formulare
richiesta di passaggio dal rito ordinario al rito  sommario  a  norma
dell'art. 183-bis del codice di procedura civile, entro l'udienza  di
trattazione e comunque almeno sei mesi prima che  siano  trascorsi  i
termini di cui all'art. 2, comma 2-bis. Nelle cause  in  cui  non  si
applica il rito sommario di cognizione, ivi comprese quelle in  grado
di  appello,  costituisce  rimedio  preventivo  proporre  istanza  di
decisione a seguito di trattazione orale a norma dell'art. 281-sexies
del codice di procedura civile,  almeno  sei  mesi  prima  che  siano
trascorsi i termini di cui all'art. 2, comma 2-bis»; 
      art. 2, comma 1, della legge n. 89/2001  [introdotto  dall'art.
1, comma 777, lettera b), della legge 28 dicembre 2015, n.  208],  il
quale dispone - per quanto ora rileva - che: 
        «1. E' inammissibile la domanda di equa riparazione  proposta
dal   soggetto   che   non   ha   esperito   i   rimedi    preventivi
all'irragionevole durata del processo di cui all'art. 1-ter»; 
      art.  6,  comma  2-bis,  della  legge  n.  89/2001  [introdotto
dall'art. 1, comma 777, lettera m), della legge 28 dicembre 2015,  n.
208], il quale stabilisce - per quanto ora occupa - che: 
        «2-bis. Nei processi la cui durata al 31 ottobre 2016  ecceda
i termini ragionevoli di cui all'art. 2, comma  2-bis,  e  in  quelli
assunti in decisione alla stessa data  non  si  applica  il  comma  1
dell'art. 2». 
    6.   Sulla   rilevanza   della    questione    di    legittimita'
costituzionale. 
    Il procedimento presupposto  e'  stato  instaurato  con  il  rito
ordinario, giusta atto di citazione in opposizione all'esecuzione  ed
agli atti esecutivi innanzi al Tribunale di Napoli notificato  il  21
gennaio 2014 ed e' stato deciso con sentenza n. 1169/2019, depositata
il 31 gennaio 2019. 
    L'istante non ha presentato le  istanze  di  cui  all'art.  1-ter
citato ed in particolare l'istanza di decisione  ai  sensi  dell'art.
281-sexies, codice di procedura civile (non applicandosi al  giudizio
presupposto, ratione temporis, l'art.  183-bis  codice  di  procedura
civile) nei termini dalla prima disposizione  indicati  («almeno  sei
mesi che sia decorsi i termini di cui all'art. 2, comma 2-bis»; cosi'
l'art. 1-ter della legge n. 89/2001), dovendosi, invece, constare che
il processo presupposto alla data di udienza del 12 gennaio 2017 (ove
era prossima la scadenza dei tre anni ritenuti di durata  ragionevole
dal  legislatore  per  il  procedimento  di  primo  grado,  ai  sensi
dell'art. 2, comma 2-bis, della legge n. 89/2001) e'  stato  rinviato
all'udienza del 15  giugno  2017  per  l'acquisizione  del  fascicolo
dell'esecuzione e poi, alla successiva udienza del 19 dicembre  2017,
rinviato per la precisazione delle  conclusioni  all'udienza  del  10
luglio 2018, ove la causa e' stata trattenuta  in  decisione,  previa
assegnazione dei termini di cui all'art. 190 del codice di  procedura
civile. 
    L'obiettiva mancata attivazione del  predetto  rimedio  (e  cioe'
l'istanza di cui all'art 281-sexies del codice di procedura  civile),
a   prescindere   dalle   non   condivisibili   valutazioni   operate
dall'istante circa il dedotto impedimento ad attivare tale  strumento
(ritenuto dal  legislatore)  acceleratorio  della  decisione,  rende,
dunque rilevante  nella  fattispecie  in  rassegna  la  questione  di
legittimita'   costituzionale   in   oggetto,   tenuto   conto    che
l'applicazione della previsione dell'art. 2, comma 1, della legge  n.
89/2001 (non ostacolata dal disposto dell'art. 6, comma 2-bis,  delle
legge n. 89/2001, atteso  che  alla  data  del  31  ottobre  2016  il
processo  presupposto  non  aveva  ancora  superato  i   termini   di
ragionevole durata, ne' era  stato  assunto  in  decisione)  ha  gia'
precluso ed oggettivamente precluderebbe  l'accesso  dell'istante  ai
benefici stabiliti dalla menzionata legge. 
    In tal senso la rilevanza della questione con riguardo al caso di
specie e' in re ipsa, atteso che ove si facesse applicazione di  tale
norma non dovrebbe riconoscersi al Giugliano alcun indennizzo, stante
l'inammissibilita' della relativa istanza. 
    6.1. Va altresi'  evidenziato  che  non  puo'  farsi  luogo  alla
disapplicazione del predetto diritto interno. 
    Tale prospettiva, infatti, e' praticabile esclusivamente in  caso
di contrasto tra diritto nazionale e norme di diritto comunitario  di
immediata  applicazione  e  dunque   regolamenti   ovvero   direttive
cosiddette self executing (cfr. ex  multis  Corte  costituzionale  n.
64/1990; Corte costituzionale  168/1991),  sicche'  la  natura  della
norma  che  si  assume  violata  esclude,  gia'  di  per  se',   tale
possibilita'. 
    Va  poi  aggiunto  che  la  CEDU  non  puo'  comunque   ritenersi
pienamente integrata nel sistema del diritto comunitario. 
    Non ignora la Corte che,  per  la  prima  volta,  a  seguito  del
Trattato di Lisbona, l'art. 6 del  Trattato  sull'Unione  europea  fa
espresso richiamo alla Convenzione europea per  la  salvaguardia  dei
Diritti umani, ma non puo' comunque ritenersi che si  tratti  di  una
«comunitarizzazione» tout court. 
    E' sufficiente al riguardo osservare che la  norma,  nell'attuale
formulazione, prevede che «l'Unione aderisce alla Convenzione europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali. Tale adesione non modifica  le  competenze  dell'Unione
definite nei trattati. 
    I diritti fondamentali garantiti nella Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali  e
risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati  membri,
fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali». 
    Deve pertanto continuare ad affermarsi, come piu' volte  chiarito
dalla Corte costituzionale, che le norme  della  CEDU  non  producono
effetti diretti nell'ordinamento interno, ne' costituiscono  autonomi
parametri di legittimita' costituzionale (su tale specifico  aspetto,
cfr. Corte costituzionale 188/1980, n. 315/1990, n. 388/1999) con  la
conseguenza che gli eventuali contrasti con essa delle norme  interne
«non generano  problemi  di  successione  delle  leggi  nel  tempo  o
valutazioni sulla rispettiva collocazione gerarchica delle  norme  in
contrasto, ma questioni di legittimita'  costituzionale,  sicche'  il
giudice comune non ha il potere di disapplicare la norma  legislativa
ordinaria ritenuta in contrasto con  una  norma  CEDU,  presentandosi
l'asserita  incompatibilita'  tra  le  due  come  una  questione   di
legittimita' costituzionale, per eventuale violazione dell'art.  117,
primo comma, Costituzione, di esclusiva competenza del giudice  delle
leggi» (Corte costituzionale n. 348/2007; nello stesso  senso,  Corte
costituzionale n. 349/2007; per  la  giurisprudenza  di  legittimita'
cfr., recentemente, Cassazione SS.UU. 6891/2016). 
    7.  Sulla  non  manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita' costituzionale 
    Su tale aspetto, ritiene la Corte che la fattispecie in esame non
sia dissimile, anzi sia del tutto analoga a  quella  gia'  scrutinata
dal Giudice delle leggi con la recente sentenza n. 34/2019, la  quale
- come gia' accennato - ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 54, comma 2, decreto-legge 25 giugno 2008,  n.  112,  conv.
nella legge 6 agosto 2008, n. 133, e  successive  modificazioni,  nel
testo in vigore dal 16 settembre 2010, secondo  cui  «la  domanda  di
equa riparazione non  e'  proponibile  se  nel  giudizio  dinanzi  al
giudice  amministrativo  in  cui  si  assume  essersi  verificata  la
violazione di cui all' art. 2, comma 1, legge 24 marzo 2001,  n.  89,
non e' stata presentata l'istanza di prelievo  di  cui  all'art.  71,
comma 2, del codice del processo amministrativo». 
    Con detta pronuncia la Corte costituzionale ha affermato che: 
        «La  disposizione  di  cui  all'art.   54,   comma   2,   del
decreto-legge n.  112  del  2008  -  nel  testo,  come  convertito  e
successivamente modificato, applicabile ratione temporis in  tutti  i
giudizi  a  quibus  -  viola,  infatti,  l'art.  117,  primo   comma,
Costituzione, in relazione agli artt. 6,  paragrafo  1,  e  13  CEDO,
restando assorbita ogni altra censura»; 
        «Secondo la costante giurisprudenza della Corte EDU, i rimedi
preventivi, volti ad evitare che la durata del  procedimento  diventi
eccessivamente lunga, sono ammissibili,  o  addirittura  preferibili,
eventualmente in combinazione con quelli indennitari, ma cio' solo se
«effettivi» e, cioe', nella misura in cui velocizzino la decisione da
parte del giudice competente (cosi', in  particolare,  Corte  europea
dei  diritti  dell'uomo,  grande  Camera,  sentenza  29  marzo  2006,
Scordino contro Italia). 
    Con piu' specifico riferimento alla disposizione  ora  in  esame,
con sentenza del 2 giugno 2009, Daddi contro Italia, detta Corte, pur
dichiarando il ricorso inammissibile per il mancato  esperimento  del
rimedio giurisdizionale interno, aveva preannunciato che  una  prassi
interpretativa  ed   applicativa   dell'art.   54,   comma   2,   del
decreto-legge n. 112 del 2008, nel testo antecedente alla modifica di
cui al decreto legislativo n. 104 del 2010 - che  avesse  avuto  come
effetto quello di opporsi  all'ammissibilita'  dei  ricorsi  ex  lege
Pinto (relativi alla durata di un processo amministrativo  conclusosi
prima  del  25  giugno  2008),  per  il  solo  fatto  della   mancata
presentazione  di  un'istanza   di   prelievo   -   avrebbe   privato
sistematicamente alcune categorie di ricorrenti della possibilita' di
ottenere una riparazione adeguata e sufficiente. 
    Piu' di recente, con la sentenza 22  febbraio  2016,  Olivieri  e
altri  contro  Italia,  la  Corte  EDU  ha  affrontato  il   problema
dell'effettivita' del rimedio nazionale  ex  lege  n.  89  del  2001,
soggetto alla condizione di proponibilita' dell'art. 54, comma 2, del
decreto-legge n. 112 del 2008.  Ed  esaminando  diacronicamente  tale
disposizione, fino al testo scaturito dalle modifiche  apportate  dal
decreto legislativo n. 104 del 2010, ha conclusivamente ritenuto  che
la procedura nazionale  per  lamentare  la  durata  eccessiva  di  un
giudizio dinanzi al giudice amministrativo, risultante dal  combinato
disposto della «legge Pinto» con la disposizione  stessa,  non  possa
essere considerata un rimedio effettivo ai sensi dell'art.  13  della
CEDU. Cio' soprattutto sul rilievo che il sistema giuridico nazionale
non prevede alcuna condizione volta a garantire l'esame  dell'istanza
di prelievo». 
    «Con il principio enunciato da tale ultima decisione - che questa
Corte, con la recente sentenza n. 88  del  2018,  ha  considerato  in
linea con la «costante giurisprudenza della  Corte  EDU»  -  si  pone
appunto in contrasto la censurata disposizione nazionale. 
    Ed infatti - mentre per  la  giurisprudenza  europea  il  rimedio
interno  deve  garantire  la  durata  ragionevole  del   giudizio   o
l'adeguata riparazione della violazione del precetto convenzionale ed
il rimedio preventivo  e'  tale  se  efficacemente  sollecitatorio  -
l'istanza di prelievo, cui fa riferimento l'art.  54,  comma  2,  del
decreto-legge n.  112  del  2008  (prima  della  rimodulazione,  come
rimedio preventivo, operatane dalla  legge  n.  208  del  2015),  non
costituisce  un'adempimento  necessario  ma  una  mera  facolta'  del
ricorrente  (ex  art.  71,  comma  2,   del   codice   del   processo
amministrativo, la parte «puo'» segnalare al  giudice  l'urgenza  del
ricorso), con effetto puramente dichiarativo  di  un  interesse  gia'
incardinato nel processo e di  mera  «prenotazione  della  decisione»
(che puo' comunque intervenire oltre il termine di ragionevole durata
del correlativo grado di giudizio), risolvendosi  in  un  adempimento
formale, rispetto alla cui  violazione  la,  non  ragionevole  e  non
proporzionata,  sanzione  di  improponibilita'   della   domanda   di
indennizzo  risulta  non  in  sintonia  ne'   con   l'obiettivo   del
contenimento della durata del processo ne'  con  quello  indennitario
per il caso di sua eccessiva durata»; 
    «Antecedentemente alle richiamate sentenze della  Corte  EDU,  la
stessa giurisprudenza interna (con riferimento al previgente  sistema
normativo)  aveva,  del  resto,  affermato  che,  in  tema  di   equa
riparazione ex lege n. 89 del  2001,  la  lesione  del  diritto  alla
definizione del processo in un termine ragionevole, di  cui  all'art.
6, paragrafo 1, CEDU, andava riscontrata, anche per le cause  davanti
al giudice amministrativo,  con  riferimento  al  periodo  intercorso
dall'istaurazione del  relativo  procedimento,  senza  che  una  tale
decorrenza del termine ragionevole  di  durata  della  causa  potesse
subire ostacoli o slittamenti in relazione alla mancanza dell'istanza
di prelievo o alla sua ritardata presentazione (Corte di  cessazione,
sezioni  unite  civili,  sentenza  23  dicembre  2005,  n.  28507   e
successive conformi fino a sezione prima civile, sentenza 20  gennaio
2011, n. 1359)»; 
    «E' poi pur vero che la  mancata  presentazione  dell'istanza  di
prelievo puo' costituire - come deduce  l'Avvocatura  dello  Stato  -
elemento indiziante di una sopravvenuta carenza, o di  non  serieta',
dell'interesse della parte alla decisione del ricorso. 
    Un  tale  elemento  puo'   assumere   rilievo   ai   fini   della
quantificazione dell'indennizzo ex lege n. 89 del 2001, ma  non  puo'
viceversa condizionare la  stessa  proponibilita'  della  correlativa
domanda, senza con cio' venire in contrasto con l'esigenza del giusto
processo, per il profilo  della  sua  ragionevole  durata,  garantita
dagli evocati parametri convenzionali, la  cui  violazione  comporta,
appunto, per  interposizione,  quella  dell'art.  117,  primo  comma,
Costituzione» (cosi' Corte costituzionale n. 34/2019). 
    Ebbene, tale ordine di  idee  puo'  essere  replicato  -  mutatis
mutandis - nella fattispecie in rassegna, osservando  come  anche  il
rimedio  preventivo  in  questione  non  costituisca  un  adempimento
necessario, ma una mera  facolta'  del  giudice,  il  quale  «Se  non
dispone a  norma  dell'art.  281-quinquies  ...  fatte  precisare  le
conclusioni, puo' ordinare la discussione  orale  della  causa  nella
stessa udienza o, su istanza di parte,  in  un'udienza  successiva  e
pronunciare sentenza al termine della discussione, dando lettura  del
dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto  e  di
diritto della decisione. 
    In  tal  caso,  la  sentenza  si  intende   pubblicata   con   la
sottoscrizione da parte del giudice del verbale che la contiene ed e'
immediatamente depositata in cancelleria» (enfasi aggiunta). 
    Trattasi, quindi, di una prospettiva discrezionale ed  eventuale,
che lo stesso art. 1-ter, comma 7, della legge  n.  89/2001  (secondo
cui «restano  ferme  le  disposizioni  che  determinano  l'ordine  di
priorita' nella trattazione dei procedimenti») - giova  rimarcarlo  -
ulteriormente  condiziona  all'osservanza   di   altri   criteri   di
trattazione delle cause, cosi'  finendo  per  non  assicurare  alcuna
effettivita' al rimedio, solo  ponendolo,  al  pari  dell'istanza  di
prelievo, quale «adempimento formale, rispetto  alla  cui  violazione
la, non ragionevole e non proporzionata, sanzione di improponibilita'
della  domanda  di  indennizzo  risulta  non  in  sintonia  ne'   con
l'obiettivo del contenimento della durata del processo ne' con quello
indennitario per il caso di sua eccessiva  durata»  (cosi'  la  Corte
costituzionale nella citata pronuncia. 
    Per tale via, non pare manifestamente  infondato  dubitare  della
legittimita' costituzionale degli artt. 1-bis,  1-ter,  commi  1,  2,
comma 1, della legge n. 89/2001, in quanto cagionanti un vulnus  agli
artt. 6 e 13 della Convenzione, tenuto  conto  che  la  richiesta  di
decisione ai sensi  dell'art.  281-sexies  del  codice  di  procedura
civile  non  ha  alcun  effetto  significativo   sulla   durata   del
procedimento, portandolo alla  sua  accelerazione  o  impedendole  di
oltrepassare  il  limite   di   quanto   possa   essere   considerato
ragionevole, posto che l'esito di tale istanza e'  aleatorio,  mentre
le  norme  censurate  privano  della  possibilita'  di  ottenere  una
riparazione adeguata e sufficiente. 
    Sul punto deve solo  aggiungersi  che,  in  considerazione  della
perentoria  formulazione  della   norma,   che   impedisce,   secondo
l'interpretazione  corrente,  di  ottenere  l'equa  riparazione   per
l'eccessiva durata dei  giudizi,  in  caso  di  omessa  presentazione
dell'istanza di decisione a seguito  di  trattazione  orale  a  norma
dell'art. 281-sexies del codice di procedura civile, almeno sei  mesi
prima che siano decorsi i termini di cui  all'art.  2,  comma  2-bis,
della legge n. 89/2001, va pure esclusa la possibilita' di  pervenire
ad un'interpretazione della stessa tale da garantire il rispetto  dei
principi sopra esposti, condizione necessaria, ad avviso della  Corte
costituzionale,  perche'  possa  farsi  luogo   alla   questione   di
legittimita' della norma interna (cfr. sentenze nn. 39 del 2008,  138
e 87 del 2010, 236, 113, 80 e 1 del 2011). 
    Appare, dunque, non  manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale degli artt. 1-bis, comma 2, 1-ter,  comma
1 (nella parte - che rileva nel presente giudizio - in cui stabilisce
che «costituisce rimedio preventivo proporre istanza di  decisione  a
seguito di trattazione orale a norma dell'art. 281-sexies del  codice
di procedura civile, almeno  sei  mesi  prima  che  siano  decorsi  i
termini di cui all'art. 2, comma 2-bis», della legge n. 89/2001),  2,
comma 1, della legge n. 89/2001, con gli artt. 117 e 11  Costituzione
nei termini sopra indicati. 
    Occorre, pertanto, sospendere il presente  processo  e  rimettere
gli atti alla Corte costituzionale affinche' sciolga  la  prospettata
questione incidentale di legittimita' costituzionale;