LA CORTE D'APPELLO DI NAPOLI Quinta sezione civile (gia' Prima sezione civile bis) Riunita in camera di consiglio in persona dei magistrati: dott. Fulvio Dacomo - Presidente; dott. Michelangelo Maria Petruzziello - consigliere; dott. Ugo Candia - consigliere - relatore; Ha emesso il seguente decreto nel procedimento camerale iscritto al n. 885/2019 del ruolo generale degli affari di volontaria giurisdizione, avente ad oggetto: opposizione ex art. 5-ter, legge n. 89/2001 avverso il decreto reso dal Consigliere designato dal Presidente della Corte d'appello di Napoli il 27 febbraio 2019, depositato il 5 marzo 2019, contraddistinto con il n. cron. 490/2018. Promosso da Andrea Giugliano (nato a Napoli, il 26 maggio 1965 e residente in Cardito (NA), al corso C. Battisti n. 94, codice fiscale GGLNDR65E26F839A), difensore di se' medesimo, con studio in Cardito (NA), al corso Battisti n. 94; Ricorrente; Contro il Ministero della giustizia, in persona del Ministro pro tempore; Non costituito. La Corte disposta la comparizione delle parti con decreto presidenziale del 12/15 aprile 2019, notificato al Ministero della giustizia il 29 aprile 2019 in uno al ricorso depositato in data 4 aprile 2019, sentito il Consigliere relatore, sciogliendo la riserva formulata all'udienza del 4 giugno 2019. Osserva 1. Con il suindicato decreto, il Consigliere designato dal Presidente della Corte d'appello ha rigettato il ricorso proposto dall'opponente per conseguire l'indennizzo a titolo di equa riparazione del danno derivante dall'eccessiva durata del processo, svoltosi innanzi al Tribunale di Napoli - Quinta sezione civile - contraddistinto col n. 2062/2014 del ruolo generale degli affari contenziosi, instaurato il 21 gennaio 2014 e concluso il 31 gennaio 2019 con sentenza n. 1169/2019 pubblicata il 31 gennaio 2019. Il giudice ha rigettato la domanda in quanto «il ricorrente non ha esperito alcuno dei rimedi volti ad evitare che la durata di tale processo superasse quella massima ragionevole prevista dall'art. 1-ter, comma 1 della legge n. 89/2001», ritenendo, altresi', che «la domanda in esame debba essere senz'altro dichiarata inammissibile ai sensi dell'art. 2, comma 1, della legge n. 89/2001, da ritenersi applicabile al caso di specie ai sensi dell'art. 6, comma 2-bis, della stessa legge, posto che, alla data del 31 ottobre 2016, la durata del processo in questione non aveva ancora superato quella ragionevole di cui all'art. 2-bis, comma 2, della legge n. 89/2001 ne' lo stesso processo era stato assunto in decisione», condannando, infine, il ricorrente «a pagare in favore della Cassa delle ammende una somma che tuttavia, stante la modestia dell'importo dell'indennizzo pecuniario da lui richiesto, appare equo contenere nel minimo previsto dall'art. 5-quater della legge n. 89/2001», pari a 1.000,00 euro. 2. Con il menzionato ricorsa in opposizione, l'istante ha censurato la decisione del primo giudice, evidenziando: a. l'impossibilita' di esperire i rimedi c.d. preventivi a causa dell'istanza cautelare di sospensione proposta dall'opponente Istituto vendite giudiziarie di Napoli e sulla quale il Tribunale non poteva provvedere fin quando non fosse stato acquisito dalla Cancelleria il fascicolo della procedura esecutiva RGE n. 369/2014; b. l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1-ter, comma 1 della legge n. 89/2001, dell'art. 6, comma 2-bis della citata legge, per contrasto con l'art. 24, 111 e 117 comma primo della Costituzione e con i parametri interposti degli artt. 6, par. 13, e 46, par. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata e resa esecutiva con legge del 4 agosto 1955, n. 848, come interpretate dalla giurisprudenza della Corte EDU (in particolare sentenze del 2 giugno 2009, Daddi c/ Italia e del 22 febbraio 2016 Olivieri c/ Italia), richiamando sul punto la sentenza della Corte costituzionale n. 34/2019, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 54, comma 2, decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, conv. nella legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, nel testo in vigore dal 16 settembre 2010, secondo cui «la domanda di equa riparazione non e' proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo in cui si assume essersi verificata la violazione di cui all' art. 2, comma 1, legge 24 marzo 2001, n. 89, non e' stata presentata l'istanza di prelievo di cui all'art. 71, comma 2, del codice del processo amministrativo»; c. la consequenziale omessa considerazione da parte del primo Giudice dell'irragionevole durata del processo presupposto, siccome procrastinatosi per cinque anni ed 11 giorni. Il ricorrente ha, quindi, concluso per l'accoglimento dell'opposizione, chiedendo che venisse ingiunto al Ministero della giustizia il pagamento della somma di 1.600,00 euro, sollevando nel contempo la predetta questione di legittimita' costituzionale. 3. Tanto ricapitolato, giova subito evidenziare che con la suindicata sentenza n. 1169/2016, che ha deciso il giudizio presupposto, il Tribunale di Napoli, decidendo sull'impugnazione proposta dall'Istituto vendite giudiziarie di Napoli avverso l'ordinanza di assegnazione emessa del Giudice dell'esecuzione del Tribunale di Napoli - Sezione distaccata di Marano - in data 3 dicembre 2013, l'ha rigettata nella parte (ritenuta) integrante un'opposizione all'esecuzione e l'ha dichiarata inammissibile nella parte (considerata) riconducibile ad un'opposizione agli atti esecutivi, dichiarando improponibile la relativa domanda. Tutto cio', ritenendo, in relazione all'interposta opposizione agli atti esecutivi, l'irrimediabile irritualita' del relativo procedimento, siccome introdotto dall'Istituto vendite giudiziarie di Napoli mediante atto di citazione (e non con ricorso), con domanda non rivolta al giudice dell'esecuzione, ma genericamente all'ufficio giudiziario ed iscritta nel ruolo del contenzioso ordinario e non depositata agli atti del fascicolo di esecuzione pendente. 4. Il rilievo che precede vale 'a rendere destituita di fondamento la prima censura avanzata dal ricorrente, basata - come sopra esposto - sul rilievo secondo cui la proposizione dell'istanza cautelare di sospensione dell'efficacia esecutiva dell'ordinanza di assegnazione nell'ambito del giudizio di opposizione agli atti esecutivi avrebbe impedito il ricorso ai rimedi preventivi previsto dall'art. 1-ter della legge n. 89/2001, essendo agevole osservare che il giudizio era stato incardinato nelle forme del rito ordinario di cognizione, come tale deciso, e che in tale contesto nessuna ragione avrebbe precluso all'istante di attivare, comunque, nonostante l'inevasa istanza di sospensione, i predetti rimedi nei termini previsti dall'art. 1-ter della legge n. 89/2001, tenuto conto che la pendenza di tale domanda cautelare non ha reso impraticabile la decisione della causa nelle forme ordinarie. Tuttavia, la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1-ter e 2 della legge n. 89/2001 posta dal ricorrente resta rilevante nel caso di specie e non appare manifestamente infondata. 5. Il quadro normativo di riferimento della questione in rassegna e' il seguente: art. 1-bis della legge n. 89/2001 [introdotto dall'art. 1, comma 777, lettera a), della legge 28 dicembre 2015, n. 208], il quale stabilisce che: «1. La parte di un processo ha diritto a esperire rimedi preventivi alla violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione stessa. 2. Chi, pur avendo esperito i rimedi preventivi di cui all'art. 1-ter, ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale a causa dell'irragionevole durata del processo ha diritto ad una equa riparazione»; art. 1-ter della legge n. 89/2001 [sempre introdotto dall'art. 1, comma 777, lettera a), della legge 28 dicembre 2015, n. 208], il quale prevede - per quanto ora rileva - che: «1. Ai fini della presente legge, nei processi civili costituisce rimedio preventivo a norma dell'art. 1-bis, comma 1, l'introduzione del giudizio nelle forme del procedimento sommario di cognizione di cui agli articoli 702-bis e seguenti del codice di procedura civile. Costituisce altresi' rimedio preventivo formulare richiesta di passaggio dal rito ordinario al rito sommario a norma dell'art. 183-bis del codice di procedura civile, entro l'udienza di trattazione e comunque almeno sei mesi prima che siano trascorsi i termini di cui all'art. 2, comma 2-bis. Nelle cause in cui non si applica il rito sommario di cognizione, ivi comprese quelle in grado di appello, costituisce rimedio preventivo proporre istanza di decisione a seguito di trattazione orale a norma dell'art. 281-sexies del codice di procedura civile, almeno sei mesi prima che siano trascorsi i termini di cui all'art. 2, comma 2-bis»; art. 2, comma 1, della legge n. 89/2001 [introdotto dall'art. 1, comma 777, lettera b), della legge 28 dicembre 2015, n. 208], il quale dispone - per quanto ora rileva - che: «1. E' inammissibile la domanda di equa riparazione proposta dal soggetto che non ha esperito i rimedi preventivi all'irragionevole durata del processo di cui all'art. 1-ter»; art. 6, comma 2-bis, della legge n. 89/2001 [introdotto dall'art. 1, comma 777, lettera m), della legge 28 dicembre 2015, n. 208], il quale stabilisce - per quanto ora occupa - che: «2-bis. Nei processi la cui durata al 31 ottobre 2016 ecceda i termini ragionevoli di cui all'art. 2, comma 2-bis, e in quelli assunti in decisione alla stessa data non si applica il comma 1 dell'art. 2». 6. Sulla rilevanza della questione di legittimita' costituzionale. Il procedimento presupposto e' stato instaurato con il rito ordinario, giusta atto di citazione in opposizione all'esecuzione ed agli atti esecutivi innanzi al Tribunale di Napoli notificato il 21 gennaio 2014 ed e' stato deciso con sentenza n. 1169/2019, depositata il 31 gennaio 2019. L'istante non ha presentato le istanze di cui all'art. 1-ter citato ed in particolare l'istanza di decisione ai sensi dell'art. 281-sexies, codice di procedura civile (non applicandosi al giudizio presupposto, ratione temporis, l'art. 183-bis codice di procedura civile) nei termini dalla prima disposizione indicati («almeno sei mesi che sia decorsi i termini di cui all'art. 2, comma 2-bis»; cosi' l'art. 1-ter della legge n. 89/2001), dovendosi, invece, constare che il processo presupposto alla data di udienza del 12 gennaio 2017 (ove era prossima la scadenza dei tre anni ritenuti di durata ragionevole dal legislatore per il procedimento di primo grado, ai sensi dell'art. 2, comma 2-bis, della legge n. 89/2001) e' stato rinviato all'udienza del 15 giugno 2017 per l'acquisizione del fascicolo dell'esecuzione e poi, alla successiva udienza del 19 dicembre 2017, rinviato per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 10 luglio 2018, ove la causa e' stata trattenuta in decisione, previa assegnazione dei termini di cui all'art. 190 del codice di procedura civile. L'obiettiva mancata attivazione del predetto rimedio (e cioe' l'istanza di cui all'art 281-sexies del codice di procedura civile), a prescindere dalle non condivisibili valutazioni operate dall'istante circa il dedotto impedimento ad attivare tale strumento (ritenuto dal legislatore) acceleratorio della decisione, rende, dunque rilevante nella fattispecie in rassegna la questione di legittimita' costituzionale in oggetto, tenuto conto che l'applicazione della previsione dell'art. 2, comma 1, della legge n. 89/2001 (non ostacolata dal disposto dell'art. 6, comma 2-bis, delle legge n. 89/2001, atteso che alla data del 31 ottobre 2016 il processo presupposto non aveva ancora superato i termini di ragionevole durata, ne' era stato assunto in decisione) ha gia' precluso ed oggettivamente precluderebbe l'accesso dell'istante ai benefici stabiliti dalla menzionata legge. In tal senso la rilevanza della questione con riguardo al caso di specie e' in re ipsa, atteso che ove si facesse applicazione di tale norma non dovrebbe riconoscersi al Giugliano alcun indennizzo, stante l'inammissibilita' della relativa istanza. 6.1. Va altresi' evidenziato che non puo' farsi luogo alla disapplicazione del predetto diritto interno. Tale prospettiva, infatti, e' praticabile esclusivamente in caso di contrasto tra diritto nazionale e norme di diritto comunitario di immediata applicazione e dunque regolamenti ovvero direttive cosiddette self executing (cfr. ex multis Corte costituzionale n. 64/1990; Corte costituzionale 168/1991), sicche' la natura della norma che si assume violata esclude, gia' di per se', tale possibilita'. Va poi aggiunto che la CEDU non puo' comunque ritenersi pienamente integrata nel sistema del diritto comunitario. Non ignora la Corte che, per la prima volta, a seguito del Trattato di Lisbona, l'art. 6 del Trattato sull'Unione europea fa espresso richiamo alla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti umani, ma non puo' comunque ritenersi che si tratti di una «comunitarizzazione» tout court. E' sufficiente al riguardo osservare che la norma, nell'attuale formulazione, prevede che «l'Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell'Unione definite nei trattati. I diritti fondamentali garantiti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali». Deve pertanto continuare ad affermarsi, come piu' volte chiarito dalla Corte costituzionale, che le norme della CEDU non producono effetti diretti nell'ordinamento interno, ne' costituiscono autonomi parametri di legittimita' costituzionale (su tale specifico aspetto, cfr. Corte costituzionale 188/1980, n. 315/1990, n. 388/1999) con la conseguenza che gli eventuali contrasti con essa delle norme interne «non generano problemi di successione delle leggi nel tempo o valutazioni sulla rispettiva collocazione gerarchica delle norme in contrasto, ma questioni di legittimita' costituzionale, sicche' il giudice comune non ha il potere di disapplicare la norma legislativa ordinaria ritenuta in contrasto con una norma CEDU, presentandosi l'asserita incompatibilita' tra le due come una questione di legittimita' costituzionale, per eventuale violazione dell'art. 117, primo comma, Costituzione, di esclusiva competenza del giudice delle leggi» (Corte costituzionale n. 348/2007; nello stesso senso, Corte costituzionale n. 349/2007; per la giurisprudenza di legittimita' cfr., recentemente, Cassazione SS.UU. 6891/2016). 7. Sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale Su tale aspetto, ritiene la Corte che la fattispecie in esame non sia dissimile, anzi sia del tutto analoga a quella gia' scrutinata dal Giudice delle leggi con la recente sentenza n. 34/2019, la quale - come gia' accennato - ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 54, comma 2, decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, conv. nella legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, nel testo in vigore dal 16 settembre 2010, secondo cui «la domanda di equa riparazione non e' proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo in cui si assume essersi verificata la violazione di cui all' art. 2, comma 1, legge 24 marzo 2001, n. 89, non e' stata presentata l'istanza di prelievo di cui all'art. 71, comma 2, del codice del processo amministrativo». Con detta pronuncia la Corte costituzionale ha affermato che: «La disposizione di cui all'art. 54, comma 2, del decreto-legge n. 112 del 2008 - nel testo, come convertito e successivamente modificato, applicabile ratione temporis in tutti i giudizi a quibus - viola, infatti, l'art. 117, primo comma, Costituzione, in relazione agli artt. 6, paragrafo 1, e 13 CEDO, restando assorbita ogni altra censura»; «Secondo la costante giurisprudenza della Corte EDU, i rimedi preventivi, volti ad evitare che la durata del procedimento diventi eccessivamente lunga, sono ammissibili, o addirittura preferibili, eventualmente in combinazione con quelli indennitari, ma cio' solo se «effettivi» e, cioe', nella misura in cui velocizzino la decisione da parte del giudice competente (cosi', in particolare, Corte europea dei diritti dell'uomo, grande Camera, sentenza 29 marzo 2006, Scordino contro Italia). Con piu' specifico riferimento alla disposizione ora in esame, con sentenza del 2 giugno 2009, Daddi contro Italia, detta Corte, pur dichiarando il ricorso inammissibile per il mancato esperimento del rimedio giurisdizionale interno, aveva preannunciato che una prassi interpretativa ed applicativa dell'art. 54, comma 2, del decreto-legge n. 112 del 2008, nel testo antecedente alla modifica di cui al decreto legislativo n. 104 del 2010 - che avesse avuto come effetto quello di opporsi all'ammissibilita' dei ricorsi ex lege Pinto (relativi alla durata di un processo amministrativo conclusosi prima del 25 giugno 2008), per il solo fatto della mancata presentazione di un'istanza di prelievo - avrebbe privato sistematicamente alcune categorie di ricorrenti della possibilita' di ottenere una riparazione adeguata e sufficiente. Piu' di recente, con la sentenza 22 febbraio 2016, Olivieri e altri contro Italia, la Corte EDU ha affrontato il problema dell'effettivita' del rimedio nazionale ex lege n. 89 del 2001, soggetto alla condizione di proponibilita' dell'art. 54, comma 2, del decreto-legge n. 112 del 2008. Ed esaminando diacronicamente tale disposizione, fino al testo scaturito dalle modifiche apportate dal decreto legislativo n. 104 del 2010, ha conclusivamente ritenuto che la procedura nazionale per lamentare la durata eccessiva di un giudizio dinanzi al giudice amministrativo, risultante dal combinato disposto della «legge Pinto» con la disposizione stessa, non possa essere considerata un rimedio effettivo ai sensi dell'art. 13 della CEDU. Cio' soprattutto sul rilievo che il sistema giuridico nazionale non prevede alcuna condizione volta a garantire l'esame dell'istanza di prelievo». «Con il principio enunciato da tale ultima decisione - che questa Corte, con la recente sentenza n. 88 del 2018, ha considerato in linea con la «costante giurisprudenza della Corte EDU» - si pone appunto in contrasto la censurata disposizione nazionale. Ed infatti - mentre per la giurisprudenza europea il rimedio interno deve garantire la durata ragionevole del giudizio o l'adeguata riparazione della violazione del precetto convenzionale ed il rimedio preventivo e' tale se efficacemente sollecitatorio - l'istanza di prelievo, cui fa riferimento l'art. 54, comma 2, del decreto-legge n. 112 del 2008 (prima della rimodulazione, come rimedio preventivo, operatane dalla legge n. 208 del 2015), non costituisce un'adempimento necessario ma una mera facolta' del ricorrente (ex art. 71, comma 2, del codice del processo amministrativo, la parte «puo'» segnalare al giudice l'urgenza del ricorso), con effetto puramente dichiarativo di un interesse gia' incardinato nel processo e di mera «prenotazione della decisione» (che puo' comunque intervenire oltre il termine di ragionevole durata del correlativo grado di giudizio), risolvendosi in un adempimento formale, rispetto alla cui violazione la, non ragionevole e non proporzionata, sanzione di improponibilita' della domanda di indennizzo risulta non in sintonia ne' con l'obiettivo del contenimento della durata del processo ne' con quello indennitario per il caso di sua eccessiva durata»; «Antecedentemente alle richiamate sentenze della Corte EDU, la stessa giurisprudenza interna (con riferimento al previgente sistema normativo) aveva, del resto, affermato che, in tema di equa riparazione ex lege n. 89 del 2001, la lesione del diritto alla definizione del processo in un termine ragionevole, di cui all'art. 6, paragrafo 1, CEDU, andava riscontrata, anche per le cause davanti al giudice amministrativo, con riferimento al periodo intercorso dall'istaurazione del relativo procedimento, senza che una tale decorrenza del termine ragionevole di durata della causa potesse subire ostacoli o slittamenti in relazione alla mancanza dell'istanza di prelievo o alla sua ritardata presentazione (Corte di cessazione, sezioni unite civili, sentenza 23 dicembre 2005, n. 28507 e successive conformi fino a sezione prima civile, sentenza 20 gennaio 2011, n. 1359)»; «E' poi pur vero che la mancata presentazione dell'istanza di prelievo puo' costituire - come deduce l'Avvocatura dello Stato - elemento indiziante di una sopravvenuta carenza, o di non serieta', dell'interesse della parte alla decisione del ricorso. Un tale elemento puo' assumere rilievo ai fini della quantificazione dell'indennizzo ex lege n. 89 del 2001, ma non puo' viceversa condizionare la stessa proponibilita' della correlativa domanda, senza con cio' venire in contrasto con l'esigenza del giusto processo, per il profilo della sua ragionevole durata, garantita dagli evocati parametri convenzionali, la cui violazione comporta, appunto, per interposizione, quella dell'art. 117, primo comma, Costituzione» (cosi' Corte costituzionale n. 34/2019). Ebbene, tale ordine di idee puo' essere replicato - mutatis mutandis - nella fattispecie in rassegna, osservando come anche il rimedio preventivo in questione non costituisca un adempimento necessario, ma una mera facolta' del giudice, il quale «Se non dispone a norma dell'art. 281-quinquies ... fatte precisare le conclusioni, puo' ordinare la discussione orale della causa nella stessa udienza o, su istanza di parte, in un'udienza successiva e pronunciare sentenza al termine della discussione, dando lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. In tal caso, la sentenza si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte del giudice del verbale che la contiene ed e' immediatamente depositata in cancelleria» (enfasi aggiunta). Trattasi, quindi, di una prospettiva discrezionale ed eventuale, che lo stesso art. 1-ter, comma 7, della legge n. 89/2001 (secondo cui «restano ferme le disposizioni che determinano l'ordine di priorita' nella trattazione dei procedimenti») - giova rimarcarlo - ulteriormente condiziona all'osservanza di altri criteri di trattazione delle cause, cosi' finendo per non assicurare alcuna effettivita' al rimedio, solo ponendolo, al pari dell'istanza di prelievo, quale «adempimento formale, rispetto alla cui violazione la, non ragionevole e non proporzionata, sanzione di improponibilita' della domanda di indennizzo risulta non in sintonia ne' con l'obiettivo del contenimento della durata del processo ne' con quello indennitario per il caso di sua eccessiva durata» (cosi' la Corte costituzionale nella citata pronuncia. Per tale via, non pare manifestamente infondato dubitare della legittimita' costituzionale degli artt. 1-bis, 1-ter, commi 1, 2, comma 1, della legge n. 89/2001, in quanto cagionanti un vulnus agli artt. 6 e 13 della Convenzione, tenuto conto che la richiesta di decisione ai sensi dell'art. 281-sexies del codice di procedura civile non ha alcun effetto significativo sulla durata del procedimento, portandolo alla sua accelerazione o impedendole di oltrepassare il limite di quanto possa essere considerato ragionevole, posto che l'esito di tale istanza e' aleatorio, mentre le norme censurate privano della possibilita' di ottenere una riparazione adeguata e sufficiente. Sul punto deve solo aggiungersi che, in considerazione della perentoria formulazione della norma, che impedisce, secondo l'interpretazione corrente, di ottenere l'equa riparazione per l'eccessiva durata dei giudizi, in caso di omessa presentazione dell'istanza di decisione a seguito di trattazione orale a norma dell'art. 281-sexies del codice di procedura civile, almeno sei mesi prima che siano decorsi i termini di cui all'art. 2, comma 2-bis, della legge n. 89/2001, va pure esclusa la possibilita' di pervenire ad un'interpretazione della stessa tale da garantire il rispetto dei principi sopra esposti, condizione necessaria, ad avviso della Corte costituzionale, perche' possa farsi luogo alla questione di legittimita' della norma interna (cfr. sentenze nn. 39 del 2008, 138 e 87 del 2010, 236, 113, 80 e 1 del 2011). Appare, dunque, non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1-bis, comma 2, 1-ter, comma 1 (nella parte - che rileva nel presente giudizio - in cui stabilisce che «costituisce rimedio preventivo proporre istanza di decisione a seguito di trattazione orale a norma dell'art. 281-sexies del codice di procedura civile, almeno sei mesi prima che siano decorsi i termini di cui all'art. 2, comma 2-bis», della legge n. 89/2001), 2, comma 1, della legge n. 89/2001, con gli artt. 117 e 11 Costituzione nei termini sopra indicati. Occorre, pertanto, sospendere il presente processo e rimettere gli atti alla Corte costituzionale affinche' sciolga la prospettata questione incidentale di legittimita' costituzionale;